fbpx

LA VITA PUO’ ESSERE COMPRESA SOLO CON LO SGUARDO RIVOLTO INDIETRO, MA VISSUTA CON LO SGUARDO IN AVANTI

                                                                                                    Soren Kierkegaard

La figura del “terzista” è nata negli anni ’70 quando i maglifici in Italia in pieno boom produttivo, in quegli anni eravamo per la Germania quello che oggi è il Bangladesh per il mondo, hanno iniziato ad esternalizzare la fase di tessitura.

Con l’impegno di dare continuità di lavoro, remunerato in modo da consentire il pagamento delle macchine e il sostentamento della famiglia del terzista lo invogliavano ad acquistare le macchine e gli davano l’opportunità di diventare un’imprenditore autonomo anche se di fatto era l’introduzione del lavoro a cottimo H24 7/7: più pezzi (buoni) fai e più vieni pagato.

Il terzista acquistava le macchine in base alle esigenze del momento del maglificio e quindi capitava di vedere all’ interno dei laboratori diversi brand di macchine di maglieria e i programmi venivano sviluppati dai concessionari delle macchine con tempi di attesa ma all’ epoca non era un problema perché tutto aveva tempi più lunghi.

Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito ad una trasformazione del terzista che non avendo più nessuna garanzia di continuità di lavoro e prezzi sempre più competitivi per gli effetti della delocalizzazione ha dovuto concentrare l’acquisto di sole due brand che, da anni , si stanno, di fatto, contendendo il Mercato delle macchine di maglieria in Italia ( Shima e Stoll) ed ha dovuto anche attrezzarsi per fare i programmi internamente per cercare di ottimizzare l’ utilizzo delle macchine e dare un servizio sempre più efficiente.

Nei laboratori, oggi è facile trovare 3 o 4 postazioni con programmatori fissi per necessità di nuova programmazione e di produzione:

al terzista è richiesta la massima velocità nel servizio, la massima flessibilità al minor prezzo possibile.

In pratica da una visione romantica del “lavorante a domicilio” per un’azienda in grado di garantirgli un futuro dignitoso, i terzisti si sono dovuti trasformare in veri e propri imprenditori autonomi con decine di dipendenti, abili nel sopravvivere nel difficile mondo altamente competitivo rispondendo alle leggi di Mercato ed hanno saputo creare aziende in grado di esprimere l’eccellenza del Made in Italy nel Mondo.

E’ dal 2003 che visito maglifici all’ estero, dalla Cina al Bangladesh e posso dire che le dimensioni delle aziende estere sono molto più grandi perché gli investimenti sono molto più importanti, li non esiste la figura del terzista, ma enormi reparti di tessitura fino a 1.000 macchine,  ma parlando con questi imprenditori tutti riconoscono lealmente alle aziende Italiane una maggiore capacità di gestione delle macchine e questo perché in Italia lo stiamo facendo appunto dagli anni ’70 mentre in questi Paesi sono partiti 30 anni dopo.

La nostra esperienza al momento ci concede ancora un piccolo vantaggio competitivo nella gestione delle complessità.

E poi è arrivata la 4° rivoluzione che stava dando a questo settore un’ulteriore scossa riducendo i tempi di gestione tra il concepimento di un’idea e la realizzazione della stessa attraverso l’interconnessione del gestionale aziendale con le macchine.

Non avevamo ancora ben compreso il significato di questa innovazione che è arrivato il covid-19 che ha ulteriormente rivoluzionato non solo il modo di produrre ma anche il modo di consumare.

Tutto quello che è internet sta diventando la normalità, dalle riunioni in remoto, all’ e-commerce, all’ assistenza in remoto.

Dal “terzista” eravamo passati all’ “artigiano digitale” in gradi di gestire la parte software della propria attività ma con la 4° Rivoluzione industriale e il covid-19, a mio parere non basta più.

Vedo l’evoluzione di quelli che sono stati gli ultimi 40 anni come la preparazione per la nuova sfida che ci attende:

Passare da “artigiani digitali” a “MAKERS”.

A molti potrà dare fastidio l’utilizzo di un termine Inglese ma se concordate con me che la salvezza del nostro Sistema Paese passerà attraverso l’internazionalizzazione delle nostre aziende, credo dovremo famigliarizzare con termini che facilitano la comprensione dei nostri potenziali clienti internazionali.

Quello dei MAKERS è un movimento che ha avuto un forte impulso già dal 2007 con l’ adozione delle stampanti 3D.

CHI SONO I MAKERS ?

1)Utilizzano gli strumenti digitali , per cui la gestione sulla carta non esiste più.

2) Progettano su uno schermo

3) Utilizzano il web per promuoversi e condividere le informazioni e le creazioni on-line

4) Vendono direttamente propri prodotti.

Io aggiungo questo quarto punto che è la vendita diretta attraverso un proprio e-commerce per dare al produttore la possibilità di sviluppare propri prodotti assecondando una propria passione e soddisfare un’altra tendenza dei nuovi consumi che è accorciare la filiera tra produttore e consumatore.

Ho già detto che la combinazione della 4° Rivoluzione Industriale e il covid-19 hanno rappresentato insieme la “tempesta perfetta” ma condivido il pensiero di chi afferma che la pandemia non ha fatto altro che accelerare un processo di cambiamento che era già in atto e quindi ci sta forzando a fare i cambiamenti che sarebbero stati comunque necessari.

Il ruolo di questi “MAKERS” non è solo quello di saper “fare” il “Made in Italy ” che ci viene riconoscono nel Mondo come un prodotto “ben fatto” che ci contraddistingue ma anche quello di saperlo promuovere attraverso le nuove tecnologie.

Creare un prodotto (non ho volutamente detto una maglia) di nicchia e venderlo direttamente nel Mondo, oggi è alla portata di tutti.

Un esempio recente ce lo ha fornito la produzione di mascherine.

Premesso che non si è trattato di un modello di business, che tendenzialmente cerca di risolvere un problema a medio /lungo termine, ma di un’opportunità commerciale del momento (io non amo particolarmente queste forme di business mordi e fuggi) ci ha fatto comunque vedere come molti tessitori hanno sviluppato un loro prodotto e lo hanno potuto proporre autonomamente sul Mercato.

Magari non tutti hanno avuto successo perché non sono stati curati molti aspetti, dalla certificazione del prodotto alla distribuzione attraverso un e-commerce ma comunque è stato un primo tentativo di “fare” qualche cosa di proprio e “venderlo” direttamente e la cosa straordinaria è che non era una maglia ma un accessorio a cui nessuno, fino a pochi mesi fa avrebbe pensato.

In questa esperienza sono emerse tutte le carenze del settore: la mancata conoscenza del branding, del web marketing e dell’utilizzo professionale dei social.

Chi invece da tempo sa padroneggiare questi strumenti ha fatto un business incredibile anche in questa opportunità commerciale; La Ferragni le sue mascherine le ha vendute fino a 50,00€ e andavano a ruba.

Queste competenze, per fortuna si possono acquisire o acquistare ormai a costi alla portata.

Siamo all’ inizio e non è chiara la strada da percorrere ma la lezione fin qui imparata credo che sia stata:

SAPER PRODURRE LA MASCHERINA NON BASTA

Dovremo imparare a promuoverci e promuovere quello che sappiamo fare.

Per chi è chiamato a fare anche questa trasformazione, credo che il termine “terzista”, per il quale nutro profondo rispetto e affetto perché ho vissuto quell’ epoca, non basta a definire i nuovi MAKERS.